WhatsApp, spiati 90 utenti nel mondo: cos’è successo?
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Immaginate di aprire WhatsApp e trovare un messaggio che vi avvisa che il vostro smartphone è stato spiato. È esattamente ciò che è successo a circa 90 persone in tutto il mondo, tra cui 7 italiani. Tra questi, il direttore di Fanpage Francesco Cancellato e l’attivista Luca Casarini. Ma come siamo arrivati a questo punto? E cosa c’entra una misteriosa azienda israeliana chiamata Paragon Solutions?
WhatsApp, Paragon Solutions e lo spyware
Paragon Solutions è una di quelle aziende che operano nell’ombra, sviluppando software di sorveglianza per governi e agenzie di intelligence. Il loro prodotto di punta? Si chiama Graphite, ed è uno spyware talmente sofisticato da far sembrare i virus che conosciamo dei giocattoli per bambini. Graphite è in grado di infiltrarsi in uno smartphone senza che l’utente faccia assolutamente nulla. Niente click su link sospetti, niente download di file infetti. Basta un semplice PDF inviato in una chat di gruppo su WhatsApp e il gioco è fatto. Una volta dentro, questo software può leggere tutti i messaggi, anche quelli criptati, attivare microfono e fotocamera a insaputa dell’utente, e praticamente trasformare il telefono in una microspia.
Ma perché un’azienda dovrebbe creare un software del genere?
La risposta ufficiale è sempre la stessa: per combattere il terrorismo e il crimine organizzato. E in effetti, Paragon vende i suoi prodotti solo a governi e agenzie statali, con contratti che dovrebbero impedirne l’uso improprio. Il problema è che il confine tra “uso legittimo” e “abuso” è spesso molto sottile. E quando Meta (la società madre di WhatsApp) ha scoperto che Graphite era stato usato per spiare giornalisti e attivisti, è scoppiato un vero e proprio caso internazionale.
In Italia, la situazione si è fatta particolarmente calda.
Il governo ha cercato di minimizzare, parlando di soli 7 casi e negando il coinvolgimento diretto dell’intelligence. Ma Paragon non deve averci creduto molto, visto che ha deciso di interrompere tutti i rapporti commerciali con l’Italia. Pensate un po’: un’azienda privata che “punisce” un intero paese perché ritiene che abbia violato il suo codice etico. Sembra la trama di un film distopico, eppure è tutto vero.
La decisione di Paragon ha scatenato un putiferio politico. L’opposizione chiede spiegazioni, l’Europa vuole vederci chiaro, e intanto i giornalisti e gli attivisti coinvolti si preparano a fare causa. Ma la vera domanda è: come possiamo proteggerci da software così invasivi? La triste verità è che, al momento, non c’è molto che possiamo fare. Questi spyware sfruttano vulnerabilità dei sistemi operativi che spesso nemmeno i produttori conoscono.
L’unica speranza è che questo scandalo porti a una regolamentazione più stringente del settore. Alcuni esperti propongono audit indipendenti sui contratti governativi e una blacklist globale per le aziende coinvolte in abusi. Ma siamo sicuri che basterà? Nel frattempo, il caso Graphite ci ricorda una verità scomoda: nell’era digitale, la privacy è diventata un lusso. E la linea tra sicurezza nazionale e violazione dei diritti civili è sempre più sottile e sfumata. Quindi, la prossima volta che userete lo smartphone, ricordatevi che potreste non essere soli. C’è sempre la possibilità che qualcuno, da qualche parte, stia ascoltando. E la cosa più inquietante? Potrebbe farlo in nome della vostra stessa sicurezza.